LA CONTENZIONE INTRA

ED EXTRA OSPEDALIERA

 

 

 

 

A cura di:

 

Carlo Montanari I.P. SSUEM 118

Michele Borri I.P. SSUEM 118

Daniela Tegoni I.P. Servizio di Cure Intensive Coronariche

Roberto Prazzoli I.P. Servizio di Cure Intensive Coronariche

Boschi Diego, studente medicina università degli studi di Pavia

 

 

Sommario

 

 

La contenzione, uno strumento che fa paura                                ………………………………pag. 3

 

Aspetti giuridici della contenzione                                               ………………………………pag. 4

 

Le motivazioni alla contenzione: assistenza o abuso?                 ………………………………pag. 6

 

La prescrizione della contenzione ed i suoi effetti collaterali      ………………………………pag. 7

 

La contenzione: come procedere?                                                ………………………………pag. 8

 

E’ possibile non ricorrere alla contenzione?                                ……………………………….pag. 9

 

La contenzione nell’ Urgenza: Pronto Soccorso e Soccorso Extraospedaliero  ………………pag. 11

 

I presidi della contenzione                                                             …………………………….pag. 13

 

La terapia farmacologica                                                              ….………………………….pag. 14

 

Conclusioni                                                                                     ……………………………pag. 15

 

Bibliografia                                                                                    .. ..………………………… pag 16

 

 

La contenzione, uno strumento che fa paura.

 

La contenzione delle persone assistite è un tema che nel corso degli ultimi anni è stato  molto dibattuto tra i professionisti del settore, soprattutto in ambito geriatrico e psichiatrico; essa coinvolge comunque molte altre realtà, tra cui i reparti di degenza, le Sale Operatorie, il Pronto Soccorso e i mezzi di primo soccorso del 118.

Spesso, anche per la varietà delle situazioni che si presentano, gli operatori non hanno chiarezza sulle modalità e sui tempi (quando contenere, fino a quando, per quanto tempo) di attuazione di tale pratica assistenziale, e per non incorrere in errori preferiscono ricorrere alla sedazione farmacologia, anch’essa tuttavia considerata una forma di contenzione. Questa incertezza professionale si riflette anche nella definizione di competenza che investe ogni figura partecipante, sia in termini di riferimenti legislativi che attuativi.

Per cercare di sanare questa sorta di limbo intellettuale nel quale sembrano vagare i professionisti sanitari di fronte alla contenzione, abbiamo cercato, con il nostro lavoro, di illustrarne i confini sanitari e legislativi, prendendo in considerazione gli interventi attuabili, gli effetti collaterali, le attrezzature necessarie e le terapie farmacologiche che possono, e debbono, essere utilizzate; una specifica menzione è stata fatta per il soccorso extraospedaliera e l’attività dei Servizi di Pronto Soccorso.

Abbiamo scelto di non rivolgere i nostri sforzi verso la contenzione in ambito psichiatrico, in quanto meriterebbe da sola una trattazione ben più ampia e specifica: a chi desiderasse approfondire l’argomento, invitiamo alla lettura dei trattati medici e infermieristici di campo, ed in particolare all’esaustivo lavoro recentemente presentato da Valter Fascio, corresponsabile dell’Area Psichiatrica dell’Associazione Infermieri Online, reperibile all’indirizzo http://www.infermierionline.net/.

Con il termine contenzione si intende classicamente quell’insieme di mezzi fisici, chimici ed ambientali, che limitano la capacità dei movimenti volontari dell’individuo.

E’ importante che i professionisti sanitari si abituino ad associare al concetto di contenzione il concetto di prevenzione, realizzata tramite l’utilizzo di misure contenitive di salvaguardia dell’integrità della persona; risulta chiaro che l’obiettivo che ci si prefigge è quello di conseguire l’aiuto assistenziale e non la riduzione del lavoro operativo.

Gli operatori che propongono ed attuano la contenzione, qualora il contesto abbia evidenziato la necessità di ricorrere a tale pratica assistenziale, devono essere consapevoli che al centro di tale decisione ruota necessariamente l’individuo; ciò, purtroppo, non si verifica quando, per problemi gestionali di carenza di personale, si ricorre ad essa.


 

 

Aspetti giuridici della contenzione

 

Fin dall’inizio del Ventesimo Secolo, agli albori cioè della Medicina Moderna, il problema di ledere la libertà dell’individuo è stato al centro dell’attenzione dei Legislatori, ed il lungo processo che ha portato ai riferimenti normativi attuali ha attraversato più di un secolo. Se con l’istituzione, avvenuta nel 1904, degli istituti psichiatrici, la tendenza era quella di lasciare liberta decisionale nei riguardi della contenzione al personale operante, già pochi anni dopo un riferimento normativo specifico poneva l’attenzione sulla eccezionalità di tale evento, così come si può evincere dalla lettura dello stesso:

 

Art. 60  del Regio Decreto nr.615/1909

 

Nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del

Direttore o di un Medico della struttura.

 

Con il passare degli anni e con la conseguente maturazione della medicina, ci si rese conto che la libertà individuale, così come la salute, doveva essere anzitutto considerato un diritto inalienabile della persona, e verso questa direzione si rivolsero gli sforzi legislativi: la  Costituzione Italiana recita così:

 

Art. 32 della Costituzione

 

La repubblica italiana tutela la salute come fondamentale diritto del cittadino….. nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana…….. la contenzione fisica della persona assistita , che si configura come atto coercitivo e quindi in contrasto con la libertà della persona, è ammessa solo nei casi nei quali possa configurarsi come provvedimento di vigilanza, di custodia, di prevenzione o di cura allo scopo di tutelare la vita o la salute della persona a fronte di una condizione di incapacità di intendere o di volere che renda di fatto inattendibile ogni scelta o manifestazione di volontà del soggetto.

 

Con l’istituzione quindi del Servizio Sanitario Nazionale e l’applicazione della 833/78, una nuova legge di riforma psichiatrica (“Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”) pose l’accento sull’eguaglianza di diritti che il malato psichiatrico deve possedere nei confronti degli altri individui: non può essere contenuto contro la sua volontà solo perché “diverso, ammalato e pericoloso”, ma rispettato ed aiutato, e solo in alcuni casi particolari (viene quindi abolito il concetto di discrezionalità di intervento del personale curante) può essere fermato contro la sua volontà. Viene così introdotto il concetto di Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.) in una nuova formulazione che ne esalta l’essenza di atto sanitario e non di controllo sociale su un individuo alieno alla società stessa.

L’inosservanza di suddette leggi assume di fatto, con la normativa attuale, non solo carattere etico e deontologico, ma penale e perseguibile civilmente: a tal proposito vale ricordare la specificazione che il Codice Penale offre in merito alla decisione di intraprendere tale pratica in contesti giudiziosi:

 

Art. 54 Codice Penale

 

L’intervento medico senza il consenso dell’interessato è giustificato solo dallo stato di necessità in cui la prestazione sanitaria appare necessaria e indifferibile per la tutela della vita o della salute dell’assistito e per prevenire a lui un danno grave.

Questo principio (il fatto deve essere proporzionato al pericolo) richiama la necessità che la motivazione alla contenzione fisica sia sempre adeguata alla situazione reale.

 

Per quanto riguarda la specificità della professione sanitaria, vi è infine una chiara indicazione di come nella prescrizione medica debba essere indicata la motivazione fondata per cui si prescrive la contenzione ed il mezzo di contenzione prescritto, la durata (non oltre le 12 ore), il consenso informato valido e scritto autorizzante l’atto, il termine della rivalutazione sul perdurare dello stato di necessità all’impiego della contenzione.

L’obbligo di acquisire il consenso informato è sancito dagli art. 30-35 del Codice di Deontologia Medica, e la sua assenza è considerata negligenza colposa.

Anche l’Infermiere, che solo negli ultimi anni, grazie ad un lento processo di maturazione professionale, si è visto riconoscere autonomia professionale, deve essere consapevole delle implicite indicazioni presenti all’interno del Codice Deontologico e più specificatamente:

 

Art. 4.10 del Codice Deontologico del 1999

 

L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologia sia evento straordinario e motivato e non metodica abituale di accudimento.

Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri l’interesse alla persona e inaccettabile quando sia un’implicita risposta alle necessità istituzionali.

 

Infatti la responsabilità dell’applicazione e del monitoraggio dei mezzi di contenzione, in caso di danno o di ipotesi di reato, implica la valutazione di tutti i soggetti coinvolti nell’assistenza.

Così l’art. 27 della Costituzione afferma che la responsabilità penale è personale per cui il medico non può essere responsabile penalmente per atti compiuti in autonomia da tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza; più specificatamente le leggi 42/99, 251/2000 ed il decreto del Ministero della Salute 02/04/01, affermano che le professioni sanitarie quali quella dell’Infermiere e del Fisioterapista, hanno acquisito autonomia nelle attività di cura proprie del loro ruolo, e di conseguenza anche nelle responsabilità derivanti dalla loro condotta personale.

L’inosservanza di tali norme, e quindi il ricorso ingiustificato a mezzi di contenzione fisica, è illecita, e può configurare principalmente alcune ipotesi di reato:

 

·       Violenza privata art. 610 Codice Penale

·       Lesioni personali colpose art.590 Codice Penale

·       Abuso di mezzi di correzione o di disciplina  art.590 Codice Penale

·       Maltrattamenti continuati art. 572 Codice Penale

 

Esiste inoltre una responsabilità specifica dei dirigenti di struttura, con riferimento alla congruità del personale in organico e in servizio effettivo rispetto ai bisogni assistenziali degli utenti, e rispetto ai carichi di lavoro del personale necessari per garantire un adeguato monitoraggio degli assistiti con mezzi di contenzione. Ciò al fine di evitare che i mezzi di contenzione diventino illecitamente uno strumento abituale di compensazione a carenze di organico o di assistenza, divenute croniche per condotte omissive dei responsabili di struttura.

A tal proposito nel corso degli anni gli interventi dei Nas e delle altre forze dell’Ordine hanno documentato situazioni ove il problema della carenza di personale veniva risolto ricorrendo indiscrinatamente alla contenzione cronica. 

I dirigenti sono in questo caso responsabili: infatti l’art. 40 del Codice Penale afferma: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Alla luce di quanto esposto, giova quindi raccomandare l’adozione per ogni unità operativa di linee guida condivise che rendano la contenzione sgravata da ogni possibile errore di valutazione ed attuazione, al fine di garantire la correttezza dei trattamenti e del loro monitoraggio e, non di meno, tutelare il personale operante.

 

 

Le motivazioni alla contenzione: assistenza o abuso?

 

Esiste una grande varietà di situazioni nelle quali la contenzione può essere efficace e migliorare la qualità assistenziale: tuttavia vale sottolineare come, per i numerosi effetti collaterali e limitazioni che essa comporta, debba essere considerata come ultima scelta e debba essere frutto di un lungo processo di analisi interdisciplinare.

Tra queste:

 

-        Garantire la sicurezza del trasporto in barella;

-        Facilitare un esame diagnostico o una terapia;

-        Fornire un supporto per una corretta postura, come un ausilio;

-        Soddisfare la necessità del controllo sul comportamento dell’utente in condizioni critiche;

-        Aumentare la percezione di sicurezza dell’utente;

 

Esistono tuttavia altre situazioni nelle quali si ricorre alla contenzione e che andrebbero affrontate in maniera differente, in quanto non vengono valutate attentamente ed inducono negli errori sopraccitati il personale:

 

-        Presenza degenti in numero rilevante rispetto agli Infermieri presenti;

-        Paura di controversie legali per mancanza di conoscenze in merito;

-        Mancanza di conoscenza circa le possibilità alternative alla contenzione;

-        Mancanza di conoscenza degli effetti negativi della contenzione;

-        Collaborazione interdisciplinare scarsa;

-        Presenza di comportamenti percepiti fastidiosi dagli altri degenti o dal personale;

-        Ridurre il rischio di caduta;

-        Eliminare la possibile interferenza nell’assunzione della terapia o della dieta;

-        Limitare il disorientamento temporo spaziale e/o la tendenza a perdersi;

-        Limitare lo stato di agitazione psichico;

 

Qualora si prefigurasse una di queste situazioni, il personale dovrà ricordare che, nel momento in cui decida di ricorrere alla contenzione e non cerchi soluzioni alternative ai problemi che gli si presentano, incorrerà non solo in sanzioni etiche implicite nel Codice Deontologico, ma anche in specifiche disposizioni legislative.

 

 

La prescrizione della contenzione ed i suoi effetti collaterali

 

Una volta riscontrata l’esigenza di una valutazione multidisciplinare per valutare la necessità della contenzione, ogni figura dell’equipe è chiamata a giocare un ruolo nel quale ritrova competenze, responsabilità giuridiche e specificità assistenziali proprie della professione alla quale appartiene.

Il medico, cioè la figura dirigenziale più direttamente responsabile delle attività di reparto, una volta valutata una richiesta di prescrizione dei mezzi di contenzione, può rilasciarla solo quando :

 

·       avrà valutato il parere scritto del fisioterapista sulla necessità della contenzione ad uso terapeutico per mantenere una postura corretta e prevenire cadute traumatiche in disabili;

·       avrà valutato il parere scritto dell’infermiere professionale responsabile del nursing sulle condizioni cliniche rilevate motivanti la contenzione;

·       avrà predisposto un piano di lavoro del personale di assistenza prevedente una scheda specifica di monitoraggio degli assistiti con mezzi di contenzione per rilevare sia eventuali danni da contenzione sia la necessità di interrompere il loro uso per il venir meno delle condizioni che lo hanno motivato; il mutare delle condizioni giustificanti la contenzione deve essere comunicato al medico senza ritardo. (Art.110 Codice Penale)

·       avrà ottenuto il consenso informato dal soggetto, deve essere richiesto direttamente all’assistito capace di intendere e di volere, per cui non ha alcuna validità il consenso espresso dai suoi familiari. (sentenza nr.16882/98 del Tribunale Civile di Milano).

 

Quella della contenzione è una pratica che comporta numerosi danni potenziali correlati sia ad una errata valutazione che ad un utilizzo scorretto e/o prolungato dei mezzi fisici. Essi possono essere generalmente divisi in tre grandi gruppi:

 

Traumi Fisici:

 

·       aumento delle cadute accidentali;

·       traumi articolari (distorsione, lussazione) e fratture ossee;

·       morte causata da strangolamento, asfissia da compressione;

·       cianosi periferiche, abrasioni da sfregamento, ematomi da microtraumi ripetuti o più generalmente traumi dei tessuti cutanei;

·       dolore articolare;

 

Patologie organiche e funzionali:

 

 

·       infezioni multiorgano ed in particolare a carico dell’apparato respiratorio (polmoniti);   

·       riduzione della massa, del tono e della forza muscolare;

·       incontinenza urinaria;

·       aumento dell’osteoporosi ossea;

·       lesioni da decubito in quanto diminuita la mobilità generale;

 

Disfunzioni psicosociali:

 

·       umiliazione;

·       depressione;

·       stress psico fisico;

·       paura e sconforto;

·       riduzione dell’iniziativa e quindi della velocità del processo di guarigione; 

·       aumento del livello di confusione dell’utente;

·       aumento della sensazione di dipendenza esterna e quindi riduzione della autonomia assistenziale;

 

Anche se alcuni di questi effetti collaterali possono essere scambiati per le indicazioni (basti pensare alla confusione), vale la pena sottolineare come non esistano prove documentate che l’uso della contenzione diminuisca il livello di agitazione della persona o riduca l’incidenza di cadute; quello che spesso è una banale errore di valutazione iniziale (l’agitazione psicomotoria può essere trattata SOLO con la contenzione) tende ad iniziare un processo vizioso che condurrà l’individuo verso la completa dipendenza assistenziale, costringendolo ad affrontare situazioni (fratture, incontinenza urinaria, infezioni…) che verosimilmente non si sarebbero normalmente presentate.

Situazioni che, a dispetto delle intenzioni del personale che ha deciso di attuare la contenzione con la speranza di diminuire il carico di lavoro assistenziale, tendono sicuramente ad aumentarlo.

 

La contenzione: come procedere?

 

Qualora si verifichi una situazione dove, dopo una attenta valutazione multidisciplinare e quando le procedure alternative non abbiano prodotto gli effetti desiderati, si sia presentata l’esigenza della contenzione, è necessario predisporre un piano di azione che consideri i molteplici aspetti delle componenti assistenziali.

il personale dovrà quindi predisporre una pianificazione ed una attuazione che tenga conto di:

 

 

·       la valutazione iniziale della persona e le situazioni anamnestiche prossime e remote;

·       l’identificazione di eventuali fattori causali e quindi se possibile la loro eliminazione;

·       la valutazione ambientale e delle risorse a disposizione;

·       la consultazione con gli altri professionisti dell’equipe, se possibile in una riunione interdisciplinare;

·       la prescrizione medica all’intervento contenitivo deve comprendere ogni aspetto;

·       ottenere, qualora possibile, cioè se capace di intendere e agire, la completa collaborazione dell’individuo ed acquisire il consenso informato;

·       cercare il coinvolgimento dei familiari come parte del contesto assistenziale;

·       confermare in ultima istanza l’ esistenza di uno “stato di necessità” motivato da ragioni assistenziali e non gestionali;

·       valutare l’ eventuale evidenza di una situazione di urgenza-emergenza;

·       valutare l’ utilizzo dei farmaci precedentemente utilizzati e quelli in programma;

·       avere ottenuto la consulenza con il Medico Specialista – psichiatra -  ove e quando possibile;

·       avere individuato delle soluzioni tecniche;

·       programmare un controllo costante della persona come da linee guida;

·       garantire il soddisfacimento dei suoi bisogni assistenziali;

·       verificare la sussistenza del principio della gradualità;

·       attuare un tentativo periodico, già programmato, di misure meno restrittive onde procedere a gradi verso l’indipendenza assistenziale;

·       produrre una documentazione giornaliera degli effetti della contenzione non tralasciando gli aspetti psicologici;

·       procedere periodicamente alll’addestramento dei membri dell’equipe per l’implementazione ed il monitoraggio degli interventi restrittivi raccomandati;

·       porre una attenzione particolare alla comunicazione, anche a quella non-verbale;

·       predisporre un piano assistenziale capace di garantire alla persona la possibilità di movimento e di esercizio per non meno di 10 minuti ogni 2 ore con esclusione della notte;

·       produrre una valutazione costante, ogni 3-4 ore al massimo, riguardante l’eventuale insorgenza di effetti dannosi direttamente attribuibili alla contenzione;

·       in ogni caso la durata della contenzione deve essere al massimo di 12 ore, dopodiché è necessaria una rivalutazione completa dell’individuo;

·       un controllo completo che comprenda il monitoraggio delle condizioni cliniche, dell’orientamento, del corretto posizionamento dei presidi contenitivi, della motilità e della sensibilità dell’estremità legata;

·       rispettare la salvaguardia della dignità personale;

·       perseguire il comfort dell’individuo;

·       garantire la sicurezza della persona.

 

Va specificato inoltre che ogni situazione è diversa dalle altre, per cui è necessario riporre un’attenzione particolare rispetto ad alcuni aspetti che spesso vengono sottovalutati ( i familiari per i tossicodipendenti o per gli anziani, ad esempio).

 

E’ possibile non ricorrere alla contenzione?

 

Come più volte specificato, i molteplici effetti collaterali della contenzione fisica, sia di natura fisica che di natura psichica, lasciano presupporre che il ricorso a tale pratica possa essere adottato solo in situazioni estreme e come ultima risorsa, una volta verificata l’inutilità delle alternative. In questa sede si auspica che il personale sanitario proceda verso una maggiore consapevolezza del significato della contenzione, intesa come atto sanitario alternativo.

Particolare importanza rivestono quei comportamenti che possono favorire la riduzione della frequenza e dei tempi della contenzione, onde evitare un uso indiscriminato di tale pratica. Innanzitutto è fondamentale conoscere la storia clinica dell’individuo, per poter valutare con causa di cognizione le motivazioni che possono avere indotto l’esigenza di una contezione, in modo da trattare ed eliminare le cause che hanno portato ad una situazione di questo genere. A tal proposito ci piace ricordare Bruno Bettheleim, uno dei più grandi studiosi della mente umana, che con arguzia quasi infermieristica affrontava il problema esprimendosi con queste parole:

 

La contenzione si presenta quando le persone, ancora prima dei pazienti, non sono trattate nel modo giusto, adeguato e conforme ai loro bisogni…

 

Osservare l’individuo attraverso una visione olistica  non significa solo individuare i bisogni fisici, ma anche e, a volte soprattutto, quelli psicologici, spesso alla base dei disturbi comportamentali che così frequentemente si ritrovano negli anziani o nei tossicodipendenti-psichiatrici nelle realtà extraospedaliere.

Ciò permette una gradualità di approccio al problema ed una sua più corretta individuazione, generando una risposta infermieristica adeguata e proporzionata all’evento; può sembrare strano ma a volte possono bastare piccoli accorgimenti relazionali per tranquillizzare la persona; ad esempio si può ospitare la persona in camere con altri degenti al fine di non accentuare la sensazione di solitudine, favorire la permanenza dei familiari quando e ove possibile, rimuovere cateteri e drenaggi non indispensabili, aumentare la luce, creare un ambiente tranquillo, rispondere tempestivamente alle chiamate vocali, mettere il campanello in un punto facilmente accessibile, cercare insomma di creare un ambiente e un clima non violento.

Tra le tante cause che possono scatenare disturbi comportamentali parecchie hanno un denominatore comune: la mancanza di comunicazione, intendendo con questo termina una incapacità relazionale, verbale o meno, tra due individui ( nel nostro caso specifico tra il personale e l’ammalato ).

L’operatore, per raggiungere l’obiettivo proposto, è chiamato a porre la comunicazione su un piano semplice, per cercare di sviluppare un rapporto il più immediato possibile, diretto con la persona alla quale deve arrivare un messaggio comprensibile, capace di aprire una corrente comunicativa bidirezionale. Qualora vi siano difficoltà a relazionarsi con l’ammalato, l’operatore sanitario sarà chiamato a sviluppare una sorta di empatia con il soggetto, conservando tuttavia la propria capacità critica.

In questo senso l’Infermiere pone il soggetto al centro della propria attenzione e non lo classifica né sulla base della patologia, né in base alla sintomatologia, pone cioè le prime basi per l’individualizzazione di un piano terapeutico-assistenziale che valorizzi la componente psicologica.

In questa ottica le probabilità di ricorso alla contenzione vanno rapidamente decrescendo; essa per l’ammalato è il massimo dell’umiliazione, è il piegarsi ad una prevaricazione violenta del più forte (il personale), è un processo che crea una distanza comunicativa troppo forte da colmare e precipita nell’incertezza fiduciaria il degente.

Anche la comunicazione interdisciplinare tra gli operatori assistenziali non può che essere esaustiva nel passaggio delle consegne, attraverso la formalizzazione della trasmissione delle informazioni mediante l’utilizzo di cartelle infermieristiche e di schede precodificate, capaci di garantire uniformità di espressione eliminando possibili fraintendimenti.

E’ inoltre opportuno prendere in considerazione anche l’approccio che il personale può sviluppare verso le situazioni ai margini, che potrebbero cioè indurre l’utilizzo scorretto della contenzione: spesso è l’inappropriata formazione professionale, o forse solo l’impossibilità gestionale di poter dedicare più tempo ad un ammalato, ad impedire un confronto propositivo verso questo genere di problematica.

Per questo motivo può essere consigliabile programmare per ogni unità operativa un corso di aggiornamento in cui vengano sia esplicate le metodiche alternative alla contenzione, che le corrette procedure per tale pratica: se è necessario contenere, che lo si faccia con criterio di conoscenza.

 

La contenzione nell’ Urgenza: Pronto Soccorso e Soccorso Extraospedaliero 

 

Esistono particolari situazioni laddove la contenzione risulta essere l’ultima procedura assistenziale (e quindi l’unica possibile per quel determinato contesto) attuabile per confrontarsi con uno stato di necessità, termine con il quale identifichiamo una improrogabilità dell’intervento per la salvaguardia della salute dell’individuo e/o di chi gli sta intorno.

E’ opportuno speicifcare che lo stato di necessità non rende legittimo ciò che è illecito, ma lo rende impunibile per il contesto in cui tale atto viene compiuto, secondo il principio della proporzionalità, cioè il principio secondo cui si intende quell’adeguatezza d’intervento versus i rischi cui il soggetto (o altri) andrebbe incontro per inerzia, ovvero non intervenendo. E’ chiaro che prima di definire una situazione come avente i criteri di uno stato di necessità, sia necessario, onde non incorrere in illegittimità giuridica, sviluppare una approfondita conoscenza di ogni aspetto.

Spesso il personale sanitario si trova a gestire situazioni di questo genere nelle unità di Pronto Soccorso: le statistiche americane, le uniche che ad oggi riportano dati significativi, sottolineano come esistano meccanismi favorenti comportamenti aggressivi. Il grande numero di accessi al servizio, i lunghi periodi di attesa, la non conoscenza dei meccanismi di triage da parte dell’utente, l’esistenza di una astanteria scomoda e poco confortevole. Condizioni che, è facile immaginare, spesso si presentano negli ospedali di tutto il territorio italiano.

Qualora un utente manifestasse una comportamento particolarmente aggressivo nei confronti di sè (o verso altri), o se apparissero i primi segni di instabilità emotiva, vanno immediatamente allertati il medico responsabile della sezione, il personale di Pubblica Sicurezza, e se possibile va predisposto l’isolamento ambientale, considerando la situazione come un vero e proprio codice d’emergenza (codice rosso) e gestendola con la massima priorità possibile. In questo caso il ricorso alla contenzione può essere giustificato, ma solo se convalidato da un T.S.O.

Tuttavia se l’utente presenta solo manifestazioni di aggressività verbale con urla e minacce, dimostrando di essere agitato, presentando un atteggiamento di sfida o sospetto, delirando, e se viene riferita da parte di familiari o amici l’assunzione di sostanze psicotrope, basterà identificare la situazione con un codice giallo ed agire di conseguenza.

Qualora infine le manifestazioni siano solo verbali e siano presenti accompagnatori capaci di gestire l’utente, si può tranquillamente identificare la situazione con un codice verde, demandandola al momento più opportuno.

Un’altra casistica che vale la pena prendere in considerazione è quella relativa all’attività extraospedaliera, quando sul territorio ci si trova di fronte a persone la cui patologia non è ancora stata diagnosticata, che dimostrano comportamenti atipici, spesso violenti, e che rappresentano un pericolo per sé stessi e per gli altri. In questi casi il personale deve sempre ricordarsi che occorre garantire la propria incolumità agendo con calma ed autocontrollo, sapendo ciò che può o non può essere fatto da solo; la collaborazione con le altre figure (Medico, Volontari del Soccorso, Forze dell’ordine se presenti, familiari) gioca davvero un ruolo fondamentale, e può garantire la riuscita del soccorso evitando ogni possibile complicazione. Il ricorso alla contenzione può essere garantito solo dopo una attenta valutazione interdisciplinare (il medico analizzerà gli aspetti sanitari, l’infermiere gli aspetti assistenziali, le forze dell’ordine valuteranno le alternative possibili per la gestione dell’ambiente in generale) e comunque deve rispondere ai criteri definiti a cui abbiamo accennato nei capitoli precedenti.

Caso eccezionale è quello del Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.), relativo alle situazioni ove esistono alterazioni psichiche che richiedono urgenti interventi terapeutici, interventi che non vengono riconosciuti come tali e quindi non accettati dall’individuo.

Il T.S.O. è un procedimento amministrativo legittimato dall’art. 32 della Costituzione, disciplinato dalle leggi 180/78 e 833/78, che permette di operare un ricovero per l’effettuazione di terapie di medicina generale o psichiatrica, contro la volontà della persona ma nell’interesse della sua salute. Il procedimento che porta all’esecuzione del trattamento viene attivato dopo una segnalazione da parte di un qualsiasi medico, il quale compila una  “Proposta di T.S.O.” segnalando data, luogo dell’ evento, ora, dati anagrafici, specificando una breve descrizione dell’evento, una diagnosi presunta, ed apponendo firma e timbro.

A questo deve seguire il “Certificato di Convalida” da parte di un Medico del Servizio Sanitario Nazionale (quindi anche la Guardia Medica ed il Medico 118), documento che, con riferimento alla proposta suddetta, riporta i dati anagrafici, la diagnosi, la data, la firma ed il timbro.

A completamento della pratica deve essere presente un’Ordinanza del Sindaco o di un suo delegato, e sul posto devono essere presenti i Vigili Urbani del Comune di Residenza o le Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia).

Con l’Ordinanza del Sindaco, il soggetto viene accompagnato dalla forza pubblica presso la più idonea struttura sanitaria e si procede al ricovero; particolare attenzione dovrà essere portata nel caso in cui la persona da sottoporre a TSO sia un minore o un individuo sottoposto a tutela.

Le situazioni che giustificano il provvedimento di TSO sono:

 

·       incapacità della persona di avere coscienza del proprio stato di malattia;

·       opposizione alle necessarie cure;

·       necessità di un intervento terapeutico urgente, nonché mancanza delle condizioni e delle circostanze atte a consentire di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie di tipo extraospedaliera.

 

Esiste anche una situazione di emergenza, cioè quando la persona si trovi in condizioni psicofisiche particolari, tali da evidenziare condizioni di grave rischio immediato per sé o per gli altri (es. manifestazioni autolesive, tentato suicidio, manifestazioni violente nei confronti di terzi) e necessiti assistenza non demandabile: in questi casi è necessario contattare una Forza di Polizia, i cui addetti, intervenuti sul luogo, dopo aver valutato le condizioni della persona procedono al suo accompagnamento presso una struttura sanitaria, in cui verrà valutata l’eventuale necessità di attivare un TSO.

Breve cenno di trattazione merita infine l’utilizzo dei mezzi di contenzione, prevista specificatamente dalle Linee Guida adottate dal Servizio di Urgenza ed Emergenza 118, per l’immobilizzazione per la prevenzione dei danni da trasporto. Nello specifico, essa definisce l’utilizzo di presidi che annullino la mobilità tra i vari segmenti corporei e renda l’organismo resistente alle sollecitazioni del trasporto. Affinché possano essere ritenuti validi, i presidi utilizzati debbono garantire il raggiungimento dell’immobilizazione, essere efficaci, non recare danno al soggetto trasportato, ed essere semplici da usare: a tal proposito periodicamente presso la Centrale Operativa 118 e presso le Sedi delle Associazioni di Volontariato Sanitario vengono eseguiti corsi di aggiornamento sull’argomento.

 

I presidi della contenzione

 

Conoscere gli strumenti necessari per la contenzione è il primo passo verso l’identificazione di quelle inefficienze assistenziali che spesso si verificano per mancanza di una formazione specifica: a ciascuno di noi sarà capitato, nel corso della nostra attività, di trovarsi di fronte a presidi realizzati senza rigorosi criteri di qualità e sicurezza (magari in piena libertà creativa), e che risultano inadeguati, se non addirittura lesivi, per gli obiettivi prefissati dal piano assistenziale.

Facendo un rapido excursus tra i più usati mezzi di contenzione, possiamo sottolineare che:

 

·       Le spondine per il letto possono indifferentemente essere a scatto, già applicate al letto del degente, o asportabili, ma non vanno mai utilizzate se l’ utente tende a scavalcarle;

 

·       I bracciali per immobilizzazione devono essere solitamente in gommaschiuma  o in poliuretano, rivestiti in materiali morbidi e traspiranti; possono essere regolati tramite chiusure in velcro.;

 

·       Le fasce contenitive per il letto devono essere costituite da una bretella imbottita applicabile al bacino e fissabile al letto mediante cinghie di ancoraggio, garantendo la postura laterale e quella seduta;

 

 

·       La fascia contenitive per le carrozzine deve essere una mutandina di cotone o di materiale sintetico, munita di fibbie, che prevenga la postura scorretta evitando lo scivolamento del bacino verso il basso;

 

·       Esistono in commercio anche varie maglie e corpetti per la contenzione degli arti.

 

Tutti i materiali devono essere facilmente lavabili e riutilizzabile.

Per quel che riguarda l’attività extraospedaliera le attrezzature attualmente in uso sui mezzi di soccorso, utilizzabili all’occorrenza  come mezzi di contenzione, sono la tavola spinale e le cinghie; questi normalmente sono impiegati per mettere in sicurezza l’assistito dopo eventi traumatici (incidenti stradali o sul lavoro) e durante il trasporto su di un mezzo di soccorso, ma possono essere adattati alla situazione qualora se ne valuti l’efficienza.

Tuttavia bisogna ricordare che, come negli eventi traumatici, le tecniche di immobilizzazione richiedono molta pratica, fatto per cui consigliamo sempre l’addestramento attraverso simulazioni, utile a formare il personale che utilizzerà questi mezzi di contenzione in condizioni di urgenza.

La sperimentazione, così come la formazione costante, permette una verifica delle nostre capacità, e di quanto risulti efficacemente immobilizzato il soggetto, con la possibilità di valutare e correggere i comportamenti degli operatori,tramite la verifica delle tecniche intraprese ed il corretto utilizzo dei presidi utilizzati.    

 

La terapia farmacologica

 

Affrontare l’argomento della sedazione farmacologica da un punto di vista etico, ancor prima di quello sanitario, significa chiedersi se il suo utilizzo possa essere considerato alla stregua di una contenzione, e soprattutto se la scelta dell’una o dell’altra comporti un diverso rispetto della dignità dell’individuo: non possediamo ancora la risposta a questa domanda, ma crediamo che cominciare a porsela significhi acquistare una prima consapevolezza che permetta di affrontare con spirito diverso la contenzione.

Per quanto riguarda l’utilizzo degli psicofarmaci, conoscerli significa anzitutto non averne paura, ma è necessario imparare a considerarli non come l’unico strumento di terapia, tanto nelle situazioni acute, quanto in quelle croniche, bensì un frammento di risposta alla domanda di aiuto che ci viene posta dall’individuo: essi agiscono alleviando i sintomi e permettendo alla persona di relazionarsi con più facilità ed efficacia con se stessa, con le persone che gli stanno intorno e con i curanti, ma sicuramente non risolvono i problemi generanti l’instabilità emotiva e psichica.

L’utilizzo indiscriminato e continuato della terapia farmacologia, qualora non venga accompagnato da una approfondita analisi della persona, può assumere persino una  valenza persecutoria: è bene considerare il momento della terapia farmacologia come una prevaricazione di forza verso l’individuo, che viene completamente derubato della propria, limitata, capacità di gestire la propria emotività.

Anche se la via di somministrazione preferibile è quella orale, deve essere considerato che la persona può rifiutare il farmaco, e può sviluppare sentimenti ostili nei confronti degli operatori: è necessario in questo caso che essi provino a convincerlo senza porre la questione in termini imperativi, ma cerchino di ottenere la massima collaborazione possibile.

Nella esperienza di tutti i giorni, avremo senz’altro notato che nella gestione di persone agitate o violente, non è raro incorrere in abuso di farmaci, ripetuti a dosi progressivamente maggiori fino a quando l’individuo non è completamente sedato: ciò si verifica nella maggior parte delle occasioni per ignoranza, qualora il personale non conosca in modo ottimale le sostanze utilizzate, né le loro interazioni farmacologiche. Tuttavia un meccanismo di questo genere è spesso generato da una reazione di cortocircuito degli operatori alle provocazioni del degente, in quel momento psicologicamente instabile e non capace di intendere e volere: questo tipo di risposta altro non è che un modo di soffocare la nostra ansietà, quanto più possibile distante dall’obiettivo assistenziale.

Per non incorrere in errori di questo genere, è necessario trovare la forma più adeguata di relazione che contempli fermezza e rispetto della persona, utilizzando i farmaci in maniera appropriata alle esigenze sanitarie: anche per questo aspetto il consiglio è quello di programmare un aggiornamento professionale frequente.

Qualora si renda necessaria la contenzione fisica e quella farmacologia per lo stato clinico della persona, è importante cercare di realizzare un contenimento psicologico, rimanendo il più possibile a fianco dell’utente e accompagnandolo nel suo lungo cammino assistenziale: ciò spesso si traduce nella capacità dell’equipe curante di disinnescare ogni possibile circuito di aggressività e permette di ridurre i tempi della contenzione.


 

Summary

 

Prima di iniziare il nostro lavoro ci siamo confrontati chiedendoci che ruolo l’infermiere dovesse interpretare oggi nella contenzione. “Attuativo, decisionale, organizzativo?”, ci siamo chiesti.

La risposta alla nostra domanda è arrivata alla fine di questo lungo tragitto, che speriamo di avere percorso insieme a voi: tutti e tre. Il ruolo dell’infermiere oggi non può che essere posto all’interno di un processo multidisciplinare che comprenda le tre fasi sopracitate: è un ruolo decisionale, perché il contributo che è capace di offrire grazie alle sue competenze umanistiche e scientifiche, grazie alle capacità empatiche e concrete, non deve essere escluso dalla valutazione iniziale e interprocessuale; è organizzativo, perché la formazione residenziale, oggi più che mai dopo l’abrogazione del mansionario, offre gli strumenti necessari per impostare un processo assistenziale che comprenda anche la contenzione; è attuativo, in quanto rappresenta la figura più vicina alle necessità assistenziali dell’individuo e della famiglia.

Oggi l’infermiere deve imparare a sviluppare una dualità professionale capace di garantire competenze assistenziali e relazionali; è il degente agitato che ci ricorda che al di là di un protocollo terapeutico e di una diagnosi esiste una persona, che con il nostro comportamento umiliamo e mortifichiamo. Ed è da questo insegnamento che può nascere un nuovo operatore, consapevole che la contenzione non è l’unica scelta terapeutica per una situazione difficoltosa, ma uno strumento assistenziale che, come tale, deve possedere criteri ben definiti: è’ questo il percorso formativo che ci auguriamo di percorrere, con la consapevolezza che quello che ci siamo lasciati alle spalle è un passato da dimenticare, segnato dalla visione della contenzione come prassi assistenziale.

Tra l’impercorribile strada dell’abuso e l’insidiosa via della totale proibizione della contenzione, vi è una terza possibilità, che prevede un uso ragionato dei mezzi di contenzione sulla base di un percorso metodologico e scientifico ben documentato e condiviso responsabilmente da tutti gli operatori assistenziali.

A tal proposito potrebbe essere opportuno che gli organi competenti, sensibilizzati verso l’argomento, propongano sempre più frequentemente corsi di formazione e giornate dedicate, magari, e possibilmente, all’interno delle Unità Operative.

Così facendo, forse, la contenzione non farà più paura a nessuno.


 

 

Bibliografia

 

Laura Cunico - La terapia psicofarmacologica nel nursing psichiatrico, aspetti psicologici e relazionali. - Nursing Oggi nr.1 1998 – Lauri edizioni;

 

Nadia Polli , Anna M.L. Rossetti – Linee guida per l’uso della contenzione nell’assistenza infermieristica. Nursing Oggi nr.4 2001 – Lauri edizioni;

 

Valter Fascio – La Contenzione Fisica in Psichiatria: reclusione o Nursing? - Abstract da la Giornata di Studio:

 

Pier Luigi Guiducci – Un aspetto nodale: la contenzione nei centri residenziali per anziani.

Agenzia Sanitaria Italiana  nr. 46 2003;

 

Benci L.– Aspetti giuridici della professione infermieristica.- Mc Grow– Hill III edizioni 2002;

 

Codice Penale

 

Codice Deontologico della Professione Infermieristica.

 

 

 

 

Parole chiave: Contenzione, Aspetti giuridici, Infermiere, Ospedale, Territorio, Motivazioni, Aspetti psicologici;

 

 

Per ulteriori informazioni:

 

IRCCS San Matteo

·       Servizio Cure Intensive Coronariche tel. 0382 503972        fax 0382 503161   

·       Centrale Operativa S.S.U.Em. 118    tel. 0382 501265        fax 0382 502048

 

 

 

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